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sabato 27 aprile 2024

60. Biennale Internazionale di Venezia / Un emporio equosolidale a cielo aperto”

 

 


Lettera aperta  di Sandro Bongiani al Direttore della 60. Biennale Internazionale di Venezia Adriano Pedrosa

 

“A Venezia un emporio equosolidale  a cielo aperto”

Un bazar coloniale del sud del mondo destinato a passare come una precaria biennale equosolidale indigena del “fuori tutto”, ben sapendo  che si è stranieri in qualsiasi luogo e situazione esistenziale, dimenticando volutamente di trattare la condizione difficile dell’artista che è sempre stato e sarà uno straniero in patria, al mondo e in ogni tempo.



L’espressione “Stranieri Ovunque” scelto da questa 60. Biennale Internazionale di Venezia 2024 ci vuole far intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi  l’artista nel profondo sarà sempre uno straniero. Non viene mai per niente sottolineata la condizione di disagio dell’artista poco compreso dal sistema dell’arte. Questa è l’altra faccia della medaglia per niente  indagata in questa rassegna. Inoltre, ci preme segnalare al curatore Adriano Pedrosa che aveva preso  in prestito il titolo di questa biennale da un’opera «Foreigners Everywhere» (2004-5) del collettivo italo-britannico Claire Fontaine, che in un tempo non recente ma già remoto rispetto l’opera di Claire Fontaine vi è stato un autentico “stranger” come il siciliano Ignazio Corsaro  vissuto per diverso tempo a Napoli fino alla sua scomparsa avvenuta nel 2013 che ha indagato insistentemente dal 1986 in poi la condizione dell’artista “stranger” producendo a proprie spese  senza alcun finanziamento pubblico da parte delle istituzioni  un  insolito bollettino semestrale edito a  Napoli dal titolo “Lo Straniero”, in cui metteva in evidenza l’isolamento dell’artista contemporaneo di fronte a un sistema arrogante che costringe e umilia.” Infatti, nel semestrale “Lo Straniero” scriveva: “Prima o poi anche tu sbatterai contro “lo straniero” perché il vero straniero non è un estraneo ma te stesso”.

Da diverso tempo si è deciso di negare  la giusta attenzione a generazioni di artisti “marginali attivi” considerati  da parte della critica e dal sistema dell’arte spesso confuso  e arrogante poco influenti per il mercato dell’arte che di contro preferisce proporre insistentemente proposte deboli, valorizzando volutamente artisti a servizio del potere culturale, come in questa Biennale di quest’anno incentrata  sull’emigrazione intesa come osservatorio privilegiato del presente con una decisa e massiccia presenza  a Venezia di artisti provenienti dal sud del mondo di matrice indigena, ovvero artisti provenienti da comunità o aree geografiche considerate marginali. Tutto ciò ci appare un deludente  stratagemma  per buttare fumo negli occhi e nascondere di fatto i veri problemi che da diverso tempo agitano le coscienze e le proposte libere relegate ancora ai margini.

Ad un tema  generico scelto da  questa biennale bisognava caratterizzare gli eventi programmati,  non semplicemente nel senso geografico del termine  ma soprattutto  umano e esistenziale, indagando anche la condizione difficile e “marginale attiva” di diverse generazioni di artisti che in modo solitario hanno continuato a lavorare nell’isolamento  collettivo, alcuni anche per diversi decenni non curandosi  minimamente del mercato e del sistema ufficiale dell’arte producendo nel tempo opere per certi versi non conformi ai dettami imposti dal mercato e proseguendo in un cosciente viaggio  isolato e originale.

A nostro parete  “lo straniero” non è solo colui che si è spostato dalla propria terra, lo si può essere in qualsiasi luogo, mentre lei caro Pedrosa ha preferito la visione retorica marginale dello “straniero”, troppo vaga e insieme troppo indagata  in questi ultimi anni, preferendo di fare una scelta volutamente esotica e coloniale   piuttosto che indagare la dimensione del mondo reale con la sua immane complessità.  Un esercizio, il suo, decisamente distratto,  arbitrario e poco ispirato. nato  dalla considerazione che l’esperienza artistica possa essere riducibile a ricami, arazzi e manufatti artigianali in cui l’arte, l’immaginazione, la poesia non sono qui di casa ma emigrati altrove.

Da alcuni anni a questa parte la  Biennale di Venezia si è trasformata in un gigantesco Luna Park a cielo aperto e ora con la sua direzione persino in un nostalgico e multiforme bazar coloniale "equosolidale" del sud del mondo. Noi crediamo che bisognava  altresì indagare e rivolgere l’attenzione pure  a generazioni di artisti non considerati dal sistema volutamente in controtendenza rispetto alle “inscenate”  imposte dall’apparato culturale planetario dell’arte, presenze già da tempo trascurate e rimaste in ombra rispetto le dinamiche di mercato e dagli approcci sensazionalistici che caratterizzano l’arte di oggi.

La nostra impressione è che ad un mercato dell’arte piuttosto “opaco” caratterizzato da un momento di rallentamento, di incertezza e complessità economica e politica,  il sistema mercantile abbia deciso di pari accordo tra i diversi interlocutori  di attingere a piene mani nel serbatoio primitivo del sud del mondo allo scopo di ossigenare il mercato con nuove proposte e presenze da immettere urgentemente a basso costo nel circuito dell’arte. Non a caso vi è stata una notevole attenzione e apporto di risorse da parte di gallerie e istituzioni affiliate a supportare un parterre di iniziative e eventi collaterali ben confezionati sparsi per tutta Venezia, dando credito alla sua proposta di stranieri coloniali ovunque.

La sua, ci appare una lucida strategia di sistema  alla ricerca di nuovi “Gauguin coloniali” dalla rinnovata verginità primitiva da gestire e imporre, come risulta confermato dalla presenza di diversi artisti presenti qui a Venezia che prestissimo troveremo già a Art Basel come  ad esempio La Chola Poblete dall’Argentina, l’artista angolana Sandra Poulson, e l’artista norvegese-sudanese Ahmed Umar.  Caro Pedrosa, non è forse così?

Dopo Il Luna Park di Cecilia Alemani e il funambolico Palazzo Enciclopedico di Massimiliano Gioni, ecco ora anche il suo primo bazar coloniale del sud del mondo destinato a passare come una precaria biennale equosolidale indigena del fuori tutto, ben sapendo  che si è stranieri in qualsiasi luogo e situazione esistenziale, per cui, se si indaga  tale tema è doveroso anche evidenziare la condizione secolare dell’artista che è sempre stato uno straniero in patria, al mondo e in ogni tempo. 

In tutto ciò permane il dubbio che  ci sia stato davvero una sorta di  attivismo esagerato deciso  dal sistema ufficiale dell’arte, attivando una serie sorprendente di eventi collaterali col il fine di innescare un possibile ricambio mercantile di artisti e di opere. Di fatto, la chiamata del sud del mondo rimane un cambio di rotta che non promette niente di buono per l’arte tranne che per le finanze commerciali. Ci chiediamo dove sono stati relegati  gli artisti di area digitale e tecnologica e tutti gli altri che hanno fatto ricerca e sperimentazione.

Una rassegna decisamente folcloristica dedita all’artigianato coloniale  e decorativo con poca creatività e immaginazione incapace di far intravvedere una qualsiasi  riflessione sulla vita e sul mondo. Per tale motivo la sua rassegna  periferica del sud del mondo ci appare condizionata da una logica prefissata quasi subito arenata in qualche secca oscura della laguna veneziana senza essere stato capace di consegnare a noi un margine di riflessione per  magari intravvedere un barlume di speranza e di luce.   Cordialmente, Sandro Bongiani.

 

 

venerdì 19 aprile 2024

Da Nicola Pedana a Caserta “Motto”, mostra personale dell'artista californiano Kyle Austin Dunn.

 

 


Kyle Austin Dunn

“Motto”

Opening 27 aprile ore 18.00

Dal 28 aprile al 22 giugno 2024

Galleria Nicola Pedana, Caserta, Italia

 


 

La galleria Nicola Pedana è lieta di presentare “Motto”, prima mostra personale europea del giovane artista californiano Kyle Austin Dunn.

 

Kyle Austin Dunn, Chamber, acrilico su tela, 86x86 cm 2022


Con il termine “motto” generalmente si intende, sia nella lingua inglese che in quella italiana, una parola o un termine che viene collettivamente e socialmente riconosciuto e condiviso da un gruppo di individui. La storia nel corso del suo tempo ha fornito svariate parole con le quali si sono racchiusi concetti, ideologie e pensieri. Esse hanno avuto un’importanza tale nella vita delle persone che sono state fonte di ispirazione e dalle quali si sono fatte condurre. Da questo concetto prende forma l’opera dell’artista che attraverso la sua poetica, permette di esplorare in modo più approfondito l'essenza stessa del concetto di "motto" e di come esso possa influenzare e guidare l'individuo.

I suoi dipinti sono caratterizzati da una vibrante energia e una profonda ricerca di equilibrio tra forma e colore. Le linee che si intrecciano e si sovrappongono creano un'intensa varietà di tonalità e forme, che si fondono in un armonioso insieme tridimensionale. L’ artista opera sulla tela come una macchina precisa e meditata, sviluppando per ogni linea un criterio, una dimensione che vive in relazione alle altre. Il risultato è estremamente ottico, distopico e illusionistico. Come onde, vibrazioni e drappeggi la cui composizione sembra muoversi sotto il nostro sguardo. Attraverso la sua espressione artistica, riesce a trasmettere un senso di universalità e condivisione delle esperienze umane, grazie alla capacità di creare un linguaggio visivo comune che parla direttamente al cuore e alla mente dello spettatore. Come il motto, le forme realizzate dell’artista si fanno espressione di un qualcosa di collettivo; lo sguardo così si omologa nell’atto interpretativo e sensoriale, indipendentemente dal punto di vista prospettico.

Kyle Austin Dunn si conferma così come un talento emergente nel panorama artistico contemporaneo, capace di trasformare concetti astratti in opere visive coinvolgenti e suggestive.

La mostra pensata e progettata per gli spazi della galleria, si presenta come un fiume di colori, linee e forme in cui ognuno può trovare il proprio spirito guida, il proprio motto.

 

 

 Kyle Austin Dunn, “Stream of Constants”, Acrilici su tela, 152x183 cm, 2024 

 

 

 

 


 

Kyle Austin Dunn (b. 1987, Daytona Beach) is a visual artist based in Oakland, California. Dunn works primarily in painting and sculpture. He has shown works at First Amendment Gallery in San Francisco, CA, Circuit 12 Gallery in Dallas, TX, Hap Gallery in Portland, OR, Headlands Center for the Arts in Sausalito, CA, Pro Arts Gallery in Oakland, CA, and SCOPE Art Fair in Miami, FL. He earned an MFA from the University of California at Davis in 2012 and a BFA from the University of Florida in 2010. He is creatively inspired by the enigmatic influences that guide our conditioning.

 

Kyle Austin Dunn (né en 1987, Daytona Beach) est un artiste visuel basé à Oakland, Californie. Dunn travaille principalement en peinture et en sculpture. Il a exposé ses œuvres à la First Amendment Gallery à San Francisco, CA, Circuit 12 Gallery à Dallas, TX, Hap Gallery à Portland, OR, Headlands Center for the Arts à Sausalito, CA, Pro Arts Gallery à Oakland, CA, ainsi qu’à la foire SCOPE Art Fair à Miami, FL. Il obtient une maîtrise en beaux-arts de l'Université de Californie à Davis en 2012 et un baccalauréat en beaux-arts de l'Université de Floride en 2010. Kyle joue de manière créative avec les influences énigmatiques qui guident notre conditionnement.



Galleria Nicola Pedana

P.zza Matteotti 60 81100 Caserta IT

Phone: +39 0823 32 26 38

Mobile: + 39 392 67 93 401

 

 

Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno

martedì 16 aprile 2024

A Camorino in Svizzera La mostra di Giulia Napoleone, Antonio Tabet e Loredana Muller, tra trascendenza, andamenti e variazioni.

 

 

Trasparenza-Trascendenza. Variazioni e andamenti

Giulia Napoleone acquarelli su carta, Antonio Tabet sculture in plexiglass, Loredana Müller  inchiostri. Areapangeart a Camorino (Svizzera).

 



Un evento importante con gli acquarelli di Giulia Napoleone in relazione con le sculture in plexiglass di Antonio Tabet, e in contrappunto ad alcune carte e tele ovali-tonde di inchiostri della Müller. Vanno a comporre la mostra ‘Trasparenza-Trascendenza. Variazioni e andamenti’, che si apre lunedì 15 aprile alle 19 al Centro culturale Areapangeart di Camorino (suoni in sala di Edith Salmen, presentazione di Gilberto Isella). L'esposizione resterà aperta sino al 24 giugno ed è curata di Loredana Müller.

Giulia Napoleone è in sala espositiva con dieci carte, cinque di buon formato, e cinque quadrate, dove trasporta con estrema delicatezza e dedizione il colore in acquarello. La ‘signora della grafica’ espone per la prima volta ad areapangeart. Oltre dieci le sculture di Antonio Tabet, realizzate lavorando silouette in plexiglass trasparente. A ‘disturbare’ l'assetto geometrico, gli inchiostri quasi neri (variazioni di grigi tra carbone e fuliggine), i tondi di tela e i blu di Prussia delle carte ovali di Loredana Müller.

Areapangeart, come consueto, prevede tre serate di approfondimento e una serata di concerto per la chiusura. Gli appuntamenti, sempre di lunedì, sempre dalle 19, partono il 29 aprile con ‘Dal profondo dell'anima’ (1991), omaggio a Carl Gustav Jung nel documentario di Werner Weick. Il 13 maggio, Maurizio Chiaruttino presenta ‘La diffrazione’, sulla poesia di Antonio Rossi. Lunedì 24 giugno la serata di chiusura, con il concerto di Marco Marchi (chitarra) e Marco Pandolfi (armonica).

 


Giulia Napoleone




 


Visibile presso AREAPANGEART a Camorino nel Canton Ticino in Svizzera da lunedì 15 aprile fino al 24 giugno 2024 la mostra al Centro culturale Areapangeart di Camorino, con le opere di Giulia Napoleone, Antonio Tabet e Loredana Müller.

 

Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno

 

domenica 14 aprile 2024

Pavilion Lautania Valley Stranieri Qui e Altrove - Foreigners Here And Elsewhere Retrospettiva di Ray Johnson “NOTHING / NOIHTNG”

 

Pavilion Lautania Valley

Stranieri Qui e Altrove - Foreigners Here And Elsewhere

Retrospettiva di Ray Johnson  “NOTHING / NOIHTNG”

Presentazione a cura di Sandro Bongiani 

con la collaborazione dell'Archivio Ray Johnson di Coco Gordon, Colorado (USA).

 

Vengono presentate  6 mostre Retrospettive in coincidenza con il tema “Stranieri Ovunque”e in contemporanea con la 60. Biennale Internazionale di Venezia 2024

 

La Galleria Sandro Bongiani Arte Contemporanea  è lieta di inaugurare  in coincidenza con il tema “Stranieri Ovunque”e in contemporanea con la 60. Biennale Internazionale di Venezia 2024, presso il Pavilion Lautania Valley a cura di Sandro Bongiani le mostre retrospettive  di 6 artisti selezionati per questo particolare evento che inizia ufficialmente il 16 aprile con l’artista americano pre-pop Ray Johnson e proseguirà  di mese in mese  fino al 24 novembre 2024 con Guglielmo Achille Cavellini, Ryosuke Cohen, Reid Wood e infine con gli italiani Gabi Minedi e Raffaele Boemio presentando per ognuno artista significative opere scelte appositamente per questo particolare evento a loro dedicato.  Dopo la mostra del progetto internazionale dal titolo LiberaMente / Is Contemporary Art a Prison?” a cura di Sandro Bongiani, presentato ufficialmente il 2 ottobre 2023 presso la Galleria Sandro Bongiani Vrspace ecco una serie di altri importanti appuntamenti sul tema  dello straniero ovunque, ovvero “Stranieri Qui e Altrove - Foreigners Here And Elsewhere”, in cui viene segnalata la condizione  di diversi artisti marginali attivi che in modo originale e solitario hanno continuato a lavorare nell’isolamento  collettivo, alcuni anche per diversi decenni non curandosi  minimamente del mercato e del sistema ufficiale dell’arte producendo nel tempo opere per certi versi non conformi ai dettami imposti dal mercato e proseguendo in un cosciente viaggio solitario e personale.  Saranno presentati, inoltre,  dal 16 aprile fino al 24 novembre 2024 presso il Pavilion Lautania Valley le retrospettive di sei artisti contemporanei:  Ray Johnson / da martedì 16 aprile a giovedì 23 maggio 2024, Guglielmo Achille Cavellini / da venerdì 24 maggio a martedì 2 luglio, 2024, Ryosuke Cohen / dal 3 luglio a sabato 10 agosto 2024 Reid Wood / da domenica 11 agosto a sabato 14 settembre 2024, Gabi Minedi / da domenica 15 settembre a venerdì 19 ottobre 2024 e infine Raffaele Boemio / da sabato 20 ottobre a sabato 24 novembre 2024. Ad un tema  generico scelto da  questa biennale abbiamo preferito segnalare la condizione difficile e marginale attiva di 6 artisti di diverse generazioni e  latitudini del mondo costretti a vivere  da “straniero sempre”, non semplicemente nel senso geografico del termine  ma soprattutto  umano e esistenziale.  Ecco una sorta di convinta rilettura delle proposte in atto presentati per l’occorrenza in un padiglione  del tutto virtuale, con un’area immaginaria di 3 sale presso il Pavilion Lautania Valley in cui sono stati coinvolti 6 artisti in altrettanti mostre retrospettive in un lucido e suggestivo percorso, ognuno con la propria specifica personalità e intensità creativa per una condivisione globale via web  a 360 gradi in tutto il mondo a basso contenuto di emissioni CO2.

 


Quella di Ray

Johnson da autentico “stranger” rimane una proposta decisamente ai margini del sistema dell’arte ufficiale e diffusa ad ampio raggio, grazie alla capillarità del mezzo postale in diversi paesi del mondo. Per lungo tempo è stato considerato dalla critica negli anni 60’ per essere “il più famoso artista sconosciuto di New York” e un pioniere della performance nell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. Una ricerca che accoglie persino frammenti di oggetti di vita. Ray è stato un  assiduo raccoglitore di cose “trovate e recuperate” per essere rimesse nel circuito della comunicazione e nell’arte  restituendo a loro una nuova vita.  Le associazioni delle cose e i processi in cui accadono realmente erano alla base della comunicazione visiva, una sorta d’indagine intesa come un “work in progress” assolutamente del tutto provvisorio, che non  può avere mai una definitiva conclusione.

 

 

Una pratica per certi versi trasversale e nel contempo deviante e poco credibile agli occhi del sistema dell’arte ufficiale, basata essenzialmente sulla contaminazione tra i diversi strumenti espressivi:  collage, fotografia, oggetti recuperati, disegno, performance, happening e testi scritti, utilizzando frequentemente  il gioco oscuro delle parole con una sorta di   operazione, in cui “i giochi di parole non sono solo un fatto ludico” fine a se stesso, ma un’altra diversa possibilità di liberarsi dalle costrizioni e dagli impedimenti e  affidarsi all’invenzione e alla  creatività della parola, avvalorata anche  dalle collaborazioni attraverso l’invio postale.

Johnson ha sempre preferito lavorare su piccoli formati, precludendo così l’appoggio del grande mercato dell’arte ufficiale,  rifiutando  spesso di esporre o vendere il  proprio lavoro. Del resto,  il mercato dell’arte preferisce le grandi dimensioni e una produzione creata  appositamente per essere “mercificata” in senso commerciale. Si direbbe,  una ricerca del tutto “trasversale” rispetto alle proposte svolte in quel periodo da altri autori, che accoglie diversi mezzi espressivi con interventi che di fatto hanno creato attrito come del resto ha fatto, quasi nello stesso periodo, anche Guglielmo Achille Cavellini in Italia utilizzando la scrittura, il comportamento,  la concettualità e persino l'ironia ben sapendo che  questa era l’unica strada possibile da percorrere. Secondo lui l’arte è vita, uno scambio fra individui, una compenetrazione di idee, e un nuovo modo di pensare in un processo decisamente fluido e in evoluzione che si rivela in modo puntuale esaminando gli scritti e le azioni performative “Zen Nothings” svolte dall’artista americano. Oggi a distanza di 29 anni dalla morte il suo lavoro sperimentale dagli anni 60’ in poi  è considerato dalla critica parte integrante del movimento Fluxus e persino originale anticipatore della Pop Art americana di Leo Castelli.

 

 


Ray Johnson (1927-1995)

Nato il 16 ottobre 1927 a Detroit, nel Michigan, i suoi primi anni di vita comprendevano lezioni sporadiche al Detroit Art Institute e un'estate alla Ox-Bow School di Saugatuck, nel Michigan. Nel 1945, Johnson lasciò Detroit per frequentare il progressivo Black Mountain College in North Carolina. Durante i suoi tre anni nel programma, ha studiato con un certo numero di artisti, tra cui Josef Albers, Jacob Lawrence, John Cage e Willem de Kooning. Trasferitosi a New York nel 1949, Johnson stringe amicizia tra Robert Rauschenberg e Jasper Johns, sviluppando una forma idiosincratica di Pop Art. Nei decenni successivi, Johnson divenne sempre più impegnato in performance e filosofia Zen, fondendo assieme  la pratica artistica con la vita. Il 13 gennaio 1995 Johnson si suicidò, gettandosi da un ponte a Sag Harbor, New York, poi nuotando in mare e annegando. Nel 2002, un documentario sulla vita dell'artista chiamato How to Draw a Bunny,  ci fa capire il suo lavoro di ricerca. Oggi, le sue opere si trovano nelle collezioni della National Gallery of Art di Washington, D.C., del Museum of Modern Art di New York, del Walker Art Center di Minneapolis e del Los Angeles County Museum of Art.

 

 

Pavilion Lautania Valley 

“Stranieri qui e altrove - Active Marginal Generation Everywhere”

da Lunedì  16 aprile 2024 a sabato 24 novembre 2024

Retrospettiva di Ray Johnson  “NOTHING / NOIHTNG”

Presentazione di 48 opere inedite di Ray Johnson

da martedì 16 aprile a giovedì 23 maggio 2024

a cura di Sandro Bongiani 

Opening  lunedì  16 aprile 2024  ore 18:00  

ORARI:  tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

http://www.collezionebongianiartmuseum.it/

E-MAIL INFO: bongianimuseum@gmail.com

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 3937380225

Credits: Collezione Bongiani Art Museum

 

 

La Presentazione 

 

Pavilion Lautania Valley

Stranieri Qui e Altrove - Foreigners Here And Elsewhere

Retrospettiva di Ray Johnson  “NOTHING / NOIHTNG

Presentazione a cura di Sandro Bongiani 

con la collaborazione dell'Archivio Ray Johnson di Coco Gordon, Colorado (USA).

Salerno, 5 aprile 2024

 

 


Quella di Ray Johnson da autentico “stranger” rimane una proposta decisamente ai margini del sistema dell’arte ufficiale diffusa ad ampio raggio, grazie alla capillarità del mezzo postale in diversi paesi del mondo. Per lungo tempo è stato considerato dalla critica negli anni 60’ per essere “il più famoso artista sconosciuto di New York” e un  pioniere della performance nell'uso della lingua scritta nell'arte visuale. Una ricerca che accoglie persino frammenti di oggetti di vita. Ray è stato “un assiduo raccoglitore di cose trovate e recuperate” per essere rimesse nel circuito della comunicazione e nell’arte  restituendo a loro una nuova vita.  Le associazioni delle cose e i processi in cui accadono realmente erano alla base della comunicazione visiva, una sorta d’indagine intesa come un “work in progress” assolutamente del tutto provvisorio, che non  può avere mai una definitiva conclusione.

Una pratica per certi versi trasversale e nel contempo deviante e poco credibile agli occhi del sistema dell’arte ufficiale, basata essenzialmente sulla contaminazione tra i diversi strumenti espressivi:  collage, fotografia, oggetti recuperati, disegno, performance, happening e testi scritti, utilizzando frequentemente  il gioco oscuro delle parole, come per esempio, “SEND” riorganizzato come “ENDS”, oppure, “NO THINGS” diventato “NOTHINGS”, con una sorta di   operazione, in cui “i giochi di parole non sono solo un fatto ludico”, fine a se stesso, ma un’altra diversa possibilità di liberarsi dalle costrizioni e dagli impedimenti e  affidarsi all’invenzione e alla  creatività della parola, avvalorata anche  dalle collaborazioni attraverso dall’invio postale.

Nella parolaNothing” come nel collage di Jeff - scrive Coco Gordon - non c’è la lettera “I”, in cui sotto le dita del piede c’è scritto “Martin Friedman”,  a volte non scrive per tre volte la lettera “I”, oppure aggiunge “No I”  come quello spedito a  Chuck Welch. Nella mia personale esperienza con Ray  il "NO I “' l’aveva scritto in occasione della mia mostra alla CHA SOHO Gallery nel 1982 sull’invito all'opera trap per pianoforte, scrivendo su un piccolo foglietto di carta la parola “noihtng”, opponendola come regalo di compleanno per John Cage con 70 rossi pistacchi sanguinanti in carta sulla parete della Galleria. Forse provava a comunicare  nascostamente  la sua scomparsa con un “i” scrivendo “Noihtng” anche dietro la mia tshirt dicendo di  non perderla perché era molto importante… In questo modo nascosto  annunciava  già sommessamente agli amici la sua prematura scomparsa che poi realmente ha  realizzato  nel 1995 gettandosi in mare da un ponte a Sag Harbor, New York, e che la critica ha valutato come  ultima opera testimoniale e finale di questo importante artista americano.

Diceva Ray: “ho semplicemente dovuto accettare che per una necessità di vita ho scritto molte lettere e dato via molto materiale e informazioni, ed è stata una mia azione compulsiva, e mentre l'ho fatto, è diventato storia. È il mio curriculum, è la mia biografia, è la mia storia, è la mia vita”. I suoi progetti includono prestazioni concettualmente elaborate che si occupavano di relazioni interpersonali e disordini formali, diceva: "sono interessato a cose e cose che si disintegrano o si disgregano, cose che crescono o hanno aggiunte, cose che nascono da cose e processi del modo in cui le cose mi accadono realmente. Secondo  Coco Gordon, “i suoi lavori non sono mai singole  operazione assestanti di mail art, ma nascono da piccole storie, da incontri  con le altre persone, da relazioni e  riflessioni  spontanee capaci di innescare  nuovi apporti e nuove azioni al pensiero creativo” dando così completa autonomia alla comunicazione e rendendo questo nuovo modo di espressione  totalmente libero, al di fuori  di qualsiasi schema imposto e prefissato dal potere culturale e di conseguenza  dal  mercato ufficiale dell’arte.

Spesso viene  associato al gruppo  Fluxus per il carattere  solitamente  minimal-concettuale dei suoi progetti; il gruppo Fluxus è stato un vivace movimento internazionale che  in quel periodo si distinse per una serie di azioni e interventi  a carattere neodadaista. Dobbiamo  segnalare che  Ray Johnson non ha mai fatto parte del  “Fluxus”,  ma ha comunque condiviso le  stesse problematiche e ”l’underground”  prettamente sperimentale con molti artisti di questo raggruppamento. Precursore  e convinto individualista. presenza enigmatica e nel contempo trasgressiva dell’arte contemporanea americana, nel 48, si era trasferito  a New York iniziando una produzione di opere geometriche  aderendo così  al  “Gruppo degli Artisti Astratti Americani”, per poi a metà degli anni '50 dedicarsi al collage, producendo centinaia di piccoli lavori che chiamò  "moticos", quasi una sorta di “Pop Art”  anticipatrice delle ricerche che a distanza di  qualche anno verranno messe in campo  con successo da Leo Castelli con il gruppo  storico americano. Non sappiamo  se era cosciente fino in fondo della portata innovativa e rivoluzionaria  che stava  apportando   all’interno dell’arte  . Oggi, a distanza di diversi anni ci appare uno dei personaggi più  originali e influenti,  e nel contempo, un  grande pioniere solitario dell’arte visuale, influenzando il futuro dell'arte e  divenendo altresì il punto di riferimento per  nuove generazioni di giovani artisti.  

Johnson ha sempre preferito lavorare su piccoli formati, precludendosi  così l’appoggio del grande mercato dell’arte ufficiale,  rifiutando  spesso di esporre o vendere il  proprio lavoro. Del resto,  il mercato dell’arte preferisce le grandi dimensioni e una produzione creata  appositamente per essere “mercificata” in senso commerciale, e quindi, poco interessato a tale situazione. Si direbbe,  una ricerca del tutto “trasversale” rispetto alle proposte svolte in quel periodo da altri autori, che accoglie diversi mezzi espressivi con interventi che di fatto hanno creato attrito come del resto ha fatto, quasi nello stesso periodo, anche Guglielmo Achille Cavellini in Italia utilizzando la scrittura, il comportamento,  la concettualità e persino l'ironia ben sapendo che  questa era l’unica strada possibile da percorrere. Ray, non amava tanto essere chiamato un mail artista, e neanche essere considerato il pioniere della  Mail Art, ma pensava di poter creare un nuovo gruppo  di lavoro “Pre Pop Shop”  tra Black Mountain e Pop Art. Secondo lui l’arte è vita, del resto, anche la parola “Moticos” utilizzata molto spesso deriva dalla parola osmotic, una specifica qualità caratterizzata da una reciproca influenza, uno scambio fra individui, una compenetrazione di idee, atteggiamenti e realtà culturali, insomma, un nuovo modo di pensare in un processo decisamente fluido e in evoluzione che si rivela in modo puntuale esaminando gli scritti e le azioni performative “Zen Nothings” svolte dall’artista americano. Oggi a distanza di 29 anni dalla morte il suo lavoro sperimentale dagli anni 60’ in poi  è considerato dalla critica parte integrante del movimento Fluxus e persino originale anticipatore della Pop Art americana.

 

Evento segnalato da Archivio Ophen Virtual Art di Salerno